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Come sempre, dall’edizione italiana del World Business Forum emergono spunti utili per chi si occupa di temporary management. Tra i più significativi dell’ultima edizione quello di Robert Kaplan, uno dei guru riconosciuti in tema di business strategy

Kaplan parte da una semplice considerazione: gestire una strategia è cosa diversa dal gestire una funzione aziendale: non è casuale che, secondo una recente indagine di Monitor, la buona ed efficace esecuzione delle strategie risulti essere l’elemento di maggior attenzione e preoccupazione per il management. Infatti, le aziende che hanno strutturato un processo formale di implementazione delle strategie mostrano risultati decisamente superiori rispetto a quello che non lo hanno fatto (il 70% delle aziende del primo gruppo dichiara di aver ottenuto risultati comunque superiori a quelli dei concorrenti di riferimento, contro solo il 27% del secondo).
Elemento chiave affinché sia possibile un’implementazione di successo è, secondo Kaplan, è l’utilizzo di uno strumento sempre più conosciuto, diffuso ed applicato: il Balance Scorecard (di seguito indicato con BS).
Dal punto di vista logico, lo strumento è di una semplicità e consequenzialità disarmante: propone infatti una catena in cui persone qualificate e ben motivate possono essere in grado di migliorare significativamente i processi aziendali: ad esempio, attraverso la riduzione dei tempi di produzione e consegna si aumenterà la client loyalty, la propria quota di mercato e di conseguenza gli utili.
Uno degli assunti di base del sistema è il riconoscimento dell’importanza degli asset basati sulla conoscenza, persone e IT in primis, una volta riconosciuta l’inadeguatezza dei più tradizionali sistemi di gestione finanziaria nel misurare il delta di valore creato dal potenziamento degli asset intangibili.
Il punto focale del BS sta nelle definizione di una strategy map che mette in evidenza come l’azienda sia capace di generare valore per azionisti e clienti, attraverso la considerazione congiunta di quattro differenti prospettive:

  • quella finanziaria, che fornisce una “definizione tangibile di valore”
  • quella del cliente, che definisce “la fonte del valore”
  • quella dei processi di business che creano valore per azionisti e clienti
  • quella degli intangible asset che devono essere allineati con la strategia.
Un buon BS dovrebbe rappresentare uno strumento ad alta valenza operativa, un vero e proprio piano d’azione, capace di unire tra loro in logica sequenza obiettivi strategici, elementi di misurazione e confronto del successo delle decisioni prese, obiettivi e piani operativi per raggiungerli.
Kaplan cita numerosi esempi per mostrare l’efficacia del sistema in contesti molto diversi tra loro: customer solution value proposition (BMW Financial Services, IBM Global Services), low total cost value proposition (Dell Computer, Ryan Air).
Kaplan insiste infine su due punti chiave:
  • comunicazione della strategia: deve avvenire seven times seven ways!
  • in molti contesti potrebbero esistere le premesse per arrivare alla creazione di un vero e proprio Chief Strategy Management Officer.
I manager italiani alla ricerca di esempi
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I manager si trovano sempre più spesso a doversi confrontare e ad utilizzare strumenti quali bilancio delle competenze e progetto professionale per cercare di identificare i sentieri di carriera percorribili in un contesto sempre meno deterministico e prevedibile nel medio periodo e che tende a ridurre il tempo medio utile per gestire la propria carriera, se è vero che l’ingresso nel mercato del lavoro avviene con sempre maggior ritardo e l’uscita finisce per essere anticipata sulla soglia dei 50 anni.
La prima cosa da fare è comprendere cosa le imprese chiedono per essere capaci di adattarsi ad un ambiente sempre più globale e veloce in tutte le sue manifestazioni. Almeno due sono le tendenze in atto su cui riflettere:

  • cresce il peso della capacità di adattamento all’ambiente da parte dell’azienda rispetto alla pura eccellenza esecutiva. In un recente studio dell’Università del Texas, l’evidenza dimostra che solo il 5% di un campione di oltre 6.000 aziende è stato in grado di mantenere un livello di superior performance nell’arco di dieci anni: ovvero, molte imprese, ottime esecutrici di breve periodo, sono state incapaci di modificarsi al variare delle condizioni ambientali.
  • cresce il numero di organizzazioni a trifoglio, che secondo il modello della shamrock organization di Sir Charles Handy, sono costituite da tre foglie tra loro strettamente interrelate e interagenti. Oggi la foglia che racchiude il core delle competenze tecniche e manageriali, ovvero quelle strategicamente indispensabili ad ogni organizzazione per la sopravvivenza nel lungo periodo, tende a diventare sempre più piccola a fronte dell’allargamento delle altre due, quella che comprende le relazioni business-to-business in outsourcing, e quella che comprende la forza lavoro temporanea e a contratto.
Visto dalla parte dei manager, ciò significa una sensibile riduzione dei livelli gerarchici, e quindi delle possibilità di carriera in senso classico, un forte aumento dell’autonomia decisionale a livello decentrato e un costante incoraggiamento affinché le persone apprendano e mettano in campo modelli mentali differenti e non tradizionali. Non solo: viene meno il concetto di azienda come seconda casa/seconda famiglia, capace di garantire stabilità e certezze di lungo periodo a fronte dell’impegno profuso e della fedeltà dimostrata, così come viene meno il processo di identificazione con essa, con il ruolo e con la posizione tipici di qualche anno fa.
In sintesi, l’azienda di oggi ha bisogno di risorse capaci di coniugare al meglio:
  • grande capacità esecutiva e realizzativa abbinata ad una capacità decisionale più elevata che in passato
  • visione strategica e capacità di pensare non convenzionale
  • grande flessibilità personale per adattarsi all’assenza di schemi e modelli predefiniti
  • capacità negoziale, ben diversa dalla vecchia capacità politica, spesso sinonimo di acquiescenza e conformismo, per riuscire a vendere e realizzare concetti e modelli nuovi, che possono essere visti come una minaccia da parte dei grandi esecutori di breve termine.
In questo contesto, ha molto meno senso pensare alla carriera come semplice progressione verticale in un’organizzazione gerarchica, per fare riferimento ad un concetto sempre più ampio ed articolato che preveda la possibilità di fare carriera anche attraverso movimenti in senso orizzontale e il prevalere della visione di percorso formativo e professionale rispetto a quella di un percorso legato al ruolo o alla posizione.
Per il manager ciò significa operare un salto mentale passando dal concetto di status, legato alla concezione contrattuale del dirigente, al concetto di valore/contributo che si è capaci di fornire, e dalla visione del rapporto dipendente-datore di lavoro ad una visione fornitore-cliente, in cui essere fornitore strategico di tempo, energia, capacità ed intelligenza.
Il focus personale deve progressivamente spostarsi da un’ottica mirata a migliorare il proprio posizionamento aziendale e la propria retribuzione di breve periodo, ad una di più lungo periodo in cui elementi chiave sono la propria rivendibilità e la propria employability, ovvero la capacità di essere attraente per il mercato in qualsiasi momento indipendentemente da fattori contingenti e indipendenti dalla propria volontà e dalla propria capacità.


La formazione diviene quindi elemento importantissimo sul quale costruire e sostenere la propria rivendibilità: per capire come e dove si indirizzano le necessità formative del senior management può essere utile esaminare i risultati di un’ampia ricerca condotta da HSM, importante nome nell’executive education noto ai più per l’organizzazione del World Business Forum a Milano, su un campione di oltre 1.200 manager partecipanti, il 46% dei quali a livello di Direttori di Area e il 18% a livello di Amministratore Delegato.


Il primo dato interessante è che il 37% dei manager investe in formazione circa una settimana all’anno, dato forse inferiore rispetto ai colleghi europei, ma che, unito ad un 21% del campione che dedica oltre 10 giornate/anno alla formazione, dà la sensazione di una crescente attenzione a questo aspetto.
L’area nella quale è maggiormente avvertito il bisogno di formazione è la leadership, che raccoglie un terzo dei consensi, con una preferenza pari almeno al doppio della altre (finanza, marketing, tecnologie, etc.).
La leadership si apprende dai leader e dalle testimonianze dirette dei guru: oltre la metà del campione ritiene infatti essere questo il modo migliore per acquisire idee, visione e ispirazione, soprattutto attraverso lo strumento di convegni, tavole rotonde e conferenze, preferibilmente con un ruolo attivo da parte dei relatori.


Letta in altro modo, si tratta di una ricerca di sicurezza, l’unica oggi possibile nel mercato del lavoro e che va perseguita in maniera proattiva facendo leva su tutti i luoghi di socializzazione della persona e su tutte le opportunità e i momenti formali ed informali di apprendimento.